Dopo gli scontri di Washington, alcune leggende sono insorte contro il presidente. Ma tra la WWE e Trump c’è più di quanto si pensi.
The Rock, Batista e Mick Foley contro Donald Trump. No, purtroppo non è il dream match di Wrestlemania. Sono le conseguenze dell’irruzione a Capitol Hill da parte dei sostenitori del presidente statunitense per impedire al Congresso di certificare l’elezione di Joe Biden alla Casa Bianca. Le immagini del 6 gennaio 2021 americano hanno scosso le opinioni pubbliche e, come spesso accade, il mondo sportivo a stelle e strisce ha rappresentato il termometro delle emozioni della gente comune. Contro il Tycoon sono salite sul ring anche le superstar della WWE, la federazione di pro-wrestling più importante al mondo. Molti potrebbero domandarsi quanti altri atleti statunitensi si siano schierati contro The Donald, perché parlare proprio di uno sport che alcuni definiscono erroneamente “finto” e cosa abbia mai a che fare un magnate multimiliardario ormai ex presidente degli Stati Uniti d’America con l’universo WWE. Molto più di quanto si potrebbe immaginare.
Ma partiamo dalle reazioni sui social di alcuni wrestler. La star di Hollywood Dwayne Johnson, conosciuto ovunque come la leggenda The Rock, ha usato una frase di Abraham Lincoln per rivolgersi tramite il suo account Instagram a Donald Trump ed esprimere le sue preoccupazioni riguardo alle scene senza precedenti di Washington. “Una casa divisa al suo interno non può reggere”, un richiamo all’unità, una citazione simbolica come ci si aspetterebbe da uno come The Rock, mai banale nel modo di comunicare. D’altronde, ci sarà un motivo per cui si vociferava di un suo ingresso in politica e, addirittura, di una possibile candidatura alla presidenza degli Stati Uniti. Molto meno poetico è stato Dave Bautista, da sempre critico nei confronti del Tycoon. Anche questa volta il wrestler ha mantenuto fede al suo soprannome The Animal e non ha usato mezzi termini per rivolgersi al presidente. «Questa non è una protesta. Questo è un attacco» ha twittato Batista, concludendo con un inequivocabile hashtag “i traditori sostengono il traditore Trump”. Alle proteste via social si sono uniti anche Kevin Nash, conosciuto anche come Diesel, leggenda del wrestling WCW e membro della WWE Hall of Fame, e Mustafa Ali. Il primo ha chiesto la rimozione immediata di Trump dalla Casa Bianca e l’ha accusato di aver tentato di mettere in pratica un colpo di stato. Il secondo, invece, ha aggiunto un tassello alla vicenda, cioè la questione razziale. «Se una persona di colore provasse a fare la stessa cosa, quelle scale sarebbero rosse» ha twittato Ali, riferendosi al fatto che se i manifestanti fossero stati di colore, la reazione delle forze dell’ordine sarebbe stata molto diversa.

E non poteva mancare Mick Foley. Uno dei personaggi di punta della WWE alla fine degli anni ’90, quello con le tre diverse personalità: Dude Love, Cactus Jack e Mankind. Sì, proprio quello che è stato lanciato dalla cima di una gabbia alta 5 metri da The Undertaker durante l’Hell in a Cell Match di King of the Ring 1998, uno degli incontri più belli e pericolosi di sempre. Sì, quello che ficcava un calzino chiamato Mr. Socko giù per la gola degli avversari. Ecco, il wrestler su Twitter non solo si è scagliato contro Trump, ma ha chiesto con parole forti a Vince McMahon, capo padrone della compagnia di wrestling, di rimuovere The Donald dalla Hall of Fame. La domanda sorge spontanea: cosa c’entra il Tycoon con la WWE?
Le strade della compagnia di pro-wrestling e del quasi ex presidente americano sono senza dubbio connesse e da molto tempo. In quest’ottica, il metaforico paragone tra Trump e Hulk Hogan, volto della WWE e icona del wrestling mondiale, portato da Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera assume un senso che va oltre la somiglianza del colore dei capelli e di quell’atteggiamento spavaldo e arrogante, forzatamente e fastidiosamente sicuro di sé. Ma per capirlo bisogna fare un passo indietro. I legami tra Trump e l’universo WWE nascono alla fine degli anni ’80, in particolare nel 1988 e nel 1989, quando il Trump Plaza, che era un hotel e casinò ad Atlantic City, New Jersey, di proprietà del presidente repubblicano, ospita la quarta e la quinta edizione di Wrestlemania, il Super Bowl del wrestling. Il Tycoon, grande fan dell’allora WWF, e Vince McMahon forgiano una salda amicizia e sono molto simili fra loro: miliardari, famosi e incarnano la figura di “quello che ce l’ha fatta”. Ma Trump non ha solo intenzione di vedere il wrestling nel suo albergo. Trump vuole fare il wrestling.

È nel 2007 che le strade del magnate e della compagnia di wrestling si incrociano nuovamente per creare un momento storico, a suo modo. Trump, durante una puntata di Monday Night Raw, appare nel maxischermo dell’arena e fa piovere banconote sul pubblico, sfidando (nella finzione della storyline) McMahon. L’idea funziona, un miliardario contro l’altro, il potere dei soldi e il potere dei muscoli. Ne nasce la Battle of Billionaires, l’incontro che chiude la faida tra i due a Wrestlemania XXIII. Chi perde, deve farsi tagliare i capelli dall’avversario. A rappresentarli sul ring, Trump e McMahon scelgono rispettivamente i wrestler Bobby Lashley e Umaga (scomparso nel 2009). Il primo vince l’incontro grazie all’intervento della leggenda Stone Cold Steve Austin, che prima mette fuorigioco l’arbitro speciale dell’incontro Shane McMahon (wrestler e figlio del boss) e poi fa lo stesso con Umaga, permettendo a Lashley di schienarlo. Tutto questo, non prima di un comico assalto di Trump a Vince McMahon. Ecco, quello che di certo non ci si aspetterebbe da un presidente degli Stati Uniti (ma forse da Trump sì). Il momento in cui il Tycoon e Lashley rasano a zero Vince McMahon non ha bisogno di spiegazioni.
Nel 2013, Donald Trump viene introdotto da Vince McMahon nella Celebrity wing della WWE Hall of Fame, cioè quella sezione dedicata a personaggi che hanno interagito con la compagnia senza far parte del mondo del wrestling. Da qui la richiesta di Mick Foley che Trump venga rimosso. Una doppia motivazione se si considera che Foley è stato introdotto nella HOF lo stesso anno di Trump. Probabilmente il legame di amicizia che lega il Tycoon a McMahon scoraggerà quest’ultimo dall’assecondare le richieste di Foley. In ballo, però, ci sono anche altri interessi. Durante la campagna elettorale di Trump del 2016, il proprietario della WWE ha sostenuto economicamente la sua candidatura. Linda McMahon, moglie di Vince, nel 2010 e nel 2012 si è candidata al Senato con il Partito Repubblicano e dal 2019 dirige America First Action, uno dei più importanti comitati di raccolta fondi per la campagna elettorale di Trump che si è appena conclusa.
Nonostante i legami di amicizia e collaborazione lavorativa e politica tra l’ormai ex presidente degli Stati Uniti e la famiglia McMahon, da quando Trump è entrato alla Casa Bianca la compagnia non solo non lo ha sostenuto ma non lo ha nemmeno mai menzionato. Una mossa decisiva dal punto di vista del marketing, considerando che molti spettatori della WWE sono messicani e altrettanti sono afroamericani. Alla luce degli eventi di Capitol Hill, è probabile che la federazione prosegua nella stessa direzione, evitando di parlare di Trump, anche solo per rimuoverlo dalla Hall of Fame. L’effetto sarebbe quello di gravi ripercussioni sugli ascolti televisivi, in un periodo in cui la WWE non può di certo permetterselo.
Questo pezzo fa parte di un più ampio speciale sui fatti di Washington: è un progetto di tutti noi studenti della Tobagi, intitolato “Le mille storie di Capitol Hill”. Lo trovate a questo link.
Bell’articolo, interessante vero per chi ha seguito a proprio modo il wrestling in un certo periodo e poi ha visto un personaggio strano a capo della prima potenza mondiale. Complimenti.
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Il nome di chi ha postato il commento precedente è Kino.
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