L’Inghilterra riparte da qui per tornare a vincere. Le insidie di Croazia e Repubblica Ceca e l’orgoglio della Scozia come primi ostacoli
La prima giornata del gruppo D proporrà subito i confronti decisivi in ottica qualificazione. Si comincia il 13 giugno, quando l’Inghilterra ospiterà a Wembley la Croazia, sua carnefice nell’ultimo mondiale: ci si gioca il primo posto (e un ottavo contro una tra Francia, Germania e Portogallo). Il giorno dopo all’Hampden Park di Glasgow la Scozia, tornata a giocare un Europeo dopo 25 anni, affronterà la Repubblica Ceca: questo spareggio metterà in palio punti utili a passare come migliore terza. Il 18 giugno avremo il derby britannico, ancora a Wembley come negli Europei del 1996, e quello dal gusto slavo tra cechi e croati. Il programma del girone termina il 22 giugno, con Inghilterra-Repubblica Ceca e Scozia-Croazia. Quattro squadre interessanti per tanti motivi, calcistici e non. Una, l’Inghilterra, chiamata a sovvertire la narrativa perdente che la perseguita da davvero troppo tempo.
REPUBBLICA CECA – Ct: Jaroslav Silhavy
La Repubblica Ceca, tra le più fini espressioni culturali mitteleuropee, è l’unica nazionale di questo girone a non aver mai saltato un Europeo. Sono pure gli unici ad averne vinto uno, anche se come Cecoslovacchia. Era il 1976, si giocava al Marakana di Belgrado e l’avversaria era la Germania Ovest, campione d’Europa nel 1972 e del mondo nel 1974. Dopo il 2-2 a fine supplementari, i cechi hanno il rigore della vittoria, grazie all’errore di Uli Hoeness. Dal dischetto va Antonin Panenka, che colpisce il pallone in modo inusuale, scavando prima il prato con la punta del piede. Il tiro, morbido e centrale, finisce alle spalle di Sepp Maier, già da un po’ disteso verso il palo alla sua sinistra. Panenka alza il pugnetto in aria quando la sfera non ha ancora varcato la linea. Prima di allora nessuno aveva mai calciato in quel modo, o così almeno vuole la narrazione più mainstream. Fatto sta che quello che in Italia chiamiamo “cucchiaio” (e crediamo sia un’invenzione di Francesco Totti), nel resto del mondo viene chiamato “Panenka kick“. Un nome che ha marchiato chi l’ha brevettato. «Quel rigore mi ha fatto prigioniero. Ma se mi svegliassero nel cuore della notte, oggi, lo segnerei ancora».
Dopo la scissione dalla Slovacchia nel 1993, i cechi sono tornati in finale nell’Europeo inglese del 1996, di nuovo contro la Germania. Lì furono sconfitti ai supplementari dal golden goal di Oliver Bierhoff. Di quella partita, oltre all’esito, ricordiamo l’avventura un po’ kafkiana di Vladimir Smicer, uno dei maggiori talenti della squadra. Due giorni prima della finale, aveva lasciato il ritiro della squadra per tornare a Praga. Non per infortunio, ma perché doveva sposarsi con la compagna Pavlina. «Un matrimonio è sicuramente più impegnativo della finale di un Europeo», aveva commentato Smicer. A distanza di anni, la sua rimane una scelta abbastanza discutibile e perfino fastidiosa, perché si sa che i matrimoni d’estate sono una carognata. Alla fine riuscì a esserci per la finale, ma fece solo una comparsata entrando all’88’. Da allora il miglior risultato per la Repubblica Ceca è stata la semifinale degli Europei 2004, persa contro la Grecia per un silver goal di Traianos Dellas (l’unico della storia nelle partite tra nazionali). Quello fu l’ultimo acuto delle generazione d’oro di Nedved, Baros, Poborsky, Jankulovski e Cech.
La squadra attuale è lontana dai fasti di allora, ma spera di fare meglio dell’ultimo Europeo, chiuso senza vittorie. Nel gruppo D ritroveranno l’Inghilterra: solo i cechi sono riusciti a batterli nel girone di qualificazione. Jaroslav Silhavy, ct dal 2018, dovrebbe proporre un 4-2-3-1 standard, in grado di compattarsi e distendersi a seconda dei momenti della partita. In attacco molto dipenderà dall’inventiva di Vladimir Darida: quest’anno all’Hertha Berlino ha offerto 6 assist e registrato 1,66 passaggi chiave ogni 90 minuti. Le sue capacità di rifinitore potranno premiare i movimenti ad ampio raggio del principale riferimento offensivo, Patrick Schick (9 gol al Bayer Leverkusen nel 2020/21), che a sua volta potrà liberare spazi per gli altri giocatori avanzati. Su tutti Antonin Barak, tra i protagonisti dell’ottima stagione del Verona del fu Ivan Juric. Nelle azioni d’attacco i terzini Ales Mateju e Vladimir Coufal (7 assist in stagione al West Ham) avranno libertà di spingere e crossare. Anche perché può sempre arrivare l’inserimento da dietro di Tomas Soucek: anche lui di proprietà del West Ham, ha segnato 10 gol nell’ultima Premier League, di cui 5 di testa. Non male, per essere teoricamente un centrocampista difensivo.
La Uefa ha permesso a tutte le squadre di allargare a 26 il numero dei convocati, rispetto ai soliti 23. I cechi, però, ne hanno comunicati finora 25. Il posto vacante sarebbe spettato al difensore dello Slavia Praga Ondrej Kudela. Tutto questo per aspettare l’esito di un ricorso, poi respinto, contro una squalifica di dieci turni imposta dalla Uefa per razzismo. I fatti risalgono allo scorso 18 marzo. Durante gli ottavi di ritorno di Europa League con i Glasgow Rangers, Kudela si sarebbe avvicinato al centrocampista avversario Glen Kamara, dicendogli «F****ing monkey». La sua reazione aveva dato il via a una violenta rissa, con Kudela che insiste di aver detto « F****ing guy». Questo episodio ha rilanciato un tema ricorrente per la Repubblica Ceca, quello del razzismo endemico. All’inizio della stagione 2019/20, la Federcalcio aveva chiuso la curva dello Slavia Praga, dopo un lancio di banane durante il derby con lo Sparta. Pochi mesi dopo il Sigma Olomuc ha ricevuto una multa per cori contro Jean-David Beauguel, attaccante del Viktoria Plzen: nel post partita, ha spiegato che situazioni del genere sono ormai nella norma, per un giocatore nero. Ma i problemi non si limitano solo ai tifosi. Nel caso di Kudela, la stampa ceca si è preoccupata soprattutto di criticare i media britannici, colpevoli di puntare troppo il dito sul Paese, che secondo loro avrebbe nel razzismo un tratto distintivo. Per l’immagine internazionale, non aiuta certo il presidente populista Milos Zeman: in aperto contrasto con la minoranza Rom, per lui lo slogan “Black Lives Matter” è perfino razzista. «Il problema è che ci sono moltissimi cechi con vedute apertamente razziste che non accettano di essere razzisti», ha detto Miroslav Mares, esperto in estremismi dell’università “Masaryk” di Brno. Tra l’altro, dopo i fatti dello scorso marzo, la Repubblica Ceca esordirà proprio a Glasgow contro la Scozia, in una sfida subito decisiva se si punta a passare il girone. «Magari quando arriveremo gli scozzesi ci fischieranno ricordando la partita tra Rangers e Slavia», avverte Silhavy. A giudicare dalle conferenze stampa, lui sembra anche tranquillo. La squadra intanto, per quel match, viaggerà con una scorta potenziata.
Occhi puntati su: Tomas Soucek. Il più talentuoso dei cechi è un centrocampista difensivo fresco di nomina a Giocatore dell’anno in Premier League. Arrivato al West Ham nel gennaio 2020, alla prima stagione completa ha avuto un impatto enorme sulla squadra, arrivata a sorpresa sesta. Soucek ha mostrato come ruoli ed etichette contino sempre meno nel calcio di oggi. A 19 anni faticava a trovare un posto nelle giovanili dello Slavia Praga perché insisteva a giocare a centrocampo come gli idoli Cesc Fabregas e Yaya Toure, quando i suoi 192 cm di altezza suggerivano di piazzarlo al centro della difesa. Nel 2015 lo Slavia ha deciso comunque di promuoverlo in prima squadra, soluzione necessaria in un momento di crisi finanziaria. Nelle successive quattro stagioni, Soucek ha totalizzato con 40 gol e 14 assist. Al passaggio in Premier League, peraltro con l’acquisto più costoso di sempre dal campionato ceco (il West Ham l’ha pagato 16,20 milioni di euro), non c’è stato alcun contraccolpo. Anche qui si è affermato come un giocatore box-to-box dall’infinita versatilità. Nella stessa azione, è facile vedere Soucek aiutare la difesa e, sul ribaltamento, attaccare l’area avversaria dal lato debole, con ottimi tempi di inserimento. Da uno con il suo fisico, non ci si aspetterebbe che corra più di 12 km a partita. La Repubblica Ceca potrà poi contare sulle sue eccellenti doti nel gioco aereo: in stagione ha vinto 5,7 duelli aerei ogni 90 minuti, il 63,7 per cento di quelli tentati (dato migliore in Premier League). Queste caratteristiche lo accomunano a una vecchia fiamma di David Moyes, suo allenatore al West Ham. «David ha trovato in Soucek il nuovo Fellaini», ha notato Jose Mourinho dopo il 3-3 tra Hammers e Tottenham dello scorso ottobre. Per Silhavy Soucek avrà un ruolo ancora più cruciale: solo con il suo talento una selezione di per sé mediocre può sperare di passare questo girone.
SCOZIA – Ct: Steve Clarke
«It’s shite being Scottish! We’re the lowest of the low! The scum of the fucking Earth! The most wretched, miserable, servile, pathetic trash that was shat into civilisation! Some people hate the English, I don’t! They’re just wankers! We, on the other hand, are colonised by wankers! Can’t even find a decent culture to be colonised by! We’re ruled by effete assholes! It’s a shite state of affairs to be in, Tommy, and all the fresh air in the world won’t make any fucking difference!».
Il grido di Mark Renton, propagato nell’etere delle Highlands nella celebre scena di Trainspotting, rappresenta appieno quel senso di malinconica delusione insito nell’essere scozzesi. Normale, per chi abita una terra dalla storia millenaria, ma da secoli subalterna all’influenza dell’Inghilterra.

Se lo sconforto di Renton e compagni è verso uno Stato che preferisce ignorare quelli come loro, emarginandoli, pure chi tifa la Nazionale scozzese non è che se la sia passata bene negli ultimi 30 anni. Forse perché è dal mondiale di Francia 1998 che non li vede giocare in una competizione internazionale. Per l’ultimo Europeo bisogna tornare indietro al 1996, al tragico derby con l’Inghilterra (sul piano sportivo). A Wembley i padroni di casa sono avanti 1-0 grazie al gol di Alan Shearer, ma al 77′ l’arbitro Pierluigi Pairetto fischia un rigore per la Scozia. Il pari le avrebbe permesso di giocarsi nell’ultima partita del girone il passaggio del turno, conteso con l’Olanda. Dal dischetto va Gary McAllister. Durante la rincorso un refolo di vento sposta leggermente la sfera; McAllister non sembra accorgersene: il suo tiro è forte, ma poco angolato e a mezza altezza. Il rigore più facile da parare un portiere, e David Seaman non fa eccezione. Pochi secondi dopo, da un suo rinvio, Paul Gascoigne riceve al limite dell’area. Tocca la palla due volte. La prima di sinistro per superare Colin Hendry con un sombrero. La seconda con il destro per superare il portiere Andy Goram (suo compagno ai Rangers) ed eliminare gli scozzesi dal loro ultimo Europeo. Vent’anni dopo sarebbe arrivata un’altra onta: a Euro 2016 la Scozia è stata l’unica Nazionale delle isole britanniche a non partecipare.
Ma la redenzione è un diritto di tutti, no? Per cui ecco che a 25 anni dall’ultima volta rivedremo la Scozia agli Europei. Manco a dirlo, per arrivarci hanno avuto un percorso molto sofferto, come se fosse una questione genetica per questo popolo. Alla fine, dopo due vittorie ai rigori nei playoff dello scorso novembre contro Israele e Serbia hanno potuto finalmente festeggiare. «Ci siamo compattati per l’intero percorso e questa notte è quello che ci meritiamo», ha detto il capitano Andrew Robertson dopo la vittoria del Marakana. «Abbiamo cercato di riportare il sorriso alla gente in Scozia e spero si godano questo momento così come noi qui a Belgrado», ha aggiunto il ct Steve Clarke.
Clarke, alla guida della Scozia dal 2019, pure lui è arrivato dove è ora dopo un percorso accidentato, che l’ha visto passare attraverso un paio di porte girevoli. Nel 2014 avrebbe dovuto sostituire Neil Lennon al Celtic, che poi ha preferito Ronny Deila. Nell’estate 2017, dopo un anno deludente in Championship all’Aston Villa, riceve due offerte dagli Stati Uniti, dai Colorado Rapids e dai New England Revolution. Sulle prime gli paiono intriganti, come avrebbe poi ammesso in un’intervista al Sun. Ma alla fine, tra la sontuosa vista delle Montagne Rocciose o i colori autunnali della costa a nord di New York, ha scelto la grigia Kilmarnock. «Mi ispirava di più per vari motivi, soprattutto famigliari».
Realisticamente, potranno puntare a passare il gruppo D come migliore terza, giocandosela con la Repubblica Ceca. Clarke proporrà un 3-5-1-1 molto conservativo, in cui la copertura in mezzo al campo spetterà a Callum McGregor e Scott McTominay, che sostituisce l’infortunato Ryan Jack. John McGinn (3 gol e 5 assist con l’Aston Villa quest’anno) darà supporto all’unica punta Che Adams, che nelle gerarche scozzesi ha messo da parte Leigh Griffiths, nemmeno convocato. Lasciandolo a casa, Clarke rinuncia a un attaccante esperto nel gioco aereo (ma in calo da almeno un paio di stagioni), preferendone uno con caratteristiche più associative: al Southampton Adams ha 1,1 passaggi chiave ogni 90 minuti e 0,9 dribbling riusciti su 1,7 tentati.

Oltre a McGinn, ne approfitterebbe Ryan Fraser, reduce da una stagione complessa al Newcastle, ma anche con 3 gol nelle ultime 5 partite con la Scozia. I dubbi, per lui, riguardano soprattutto l’infortunio all’inguine che l’ha tenuto fuori da aprile in poi. Ora giura di aver recuperato: «La gente pensava che venissi qui fuori forma, ma ho lavorato duro e sono rimasto in contatto con il ct, che sa tutto delle mie ultime sei settimane», ha detto dopo il 2-2 in amichevole con l’Olanda, in cui è subentrato al 62′. Per la stampa scozzese, convocare Fraser è un «gamble», una scommessa, ma lo stesso Clarke è ben disposto ad accettarla. Infine, in avanti si punterà sulla spinta del capitano Andrew Robertson, tra i pochi ad aver avuto continuità di rendimento nella difficile stagione 2020-21 del Liverpool. Dovremmo vederlo largo a sinistra nei cinque di centrocampo anziché nei tre di difesa, dove ci sarà il terzino dell’Arsenal Kieran Tierney: così, con buon pragmatismo, Clarke avrà in campo in contemporanea i suoi due migliori laterali.

Un grosso punto a favore per la Scozia sarà poter giocare in casa. Eccetto la rivincita con l’Inghilterra a Wembley (alla seconda partita del girone, proprio come nel 1996), gli incontri con Scozia e Croazia saranno all’Hampden Park di Glasgow, aperto a circa 13mila spettatori. Questo, per gli appassionati di tifoserie, significherà rivedere la Tartan Army, con annessi vessilli, cornamuse e kilt. Il gruppo, il cui nome riprende l’abito nazionale della Scozia, è famoso per la sua estrema correttezza e per la colorata festosità che riesce a dare a ogni luogo da cui passa. Per chi c’era, sono ancora vive le immagini di Parigi, ai mondiali del 1998, quando il Buddha Bar fu conquistato dalla Tartan Army, alla vigilia di Scozia-Brasile. Il modo migliore per rivivere quella serata sono le parole di Henry Winter, allora inviato per il Times. «Quella rimane una delle notti più famose nella storia della Coppa del Mondo. Coinvolse Sean Connery ed Ewan McGregor, sul palco del Buddha Bar di Parigi. Il cantante Martyn Bennett si esibiva con la sua band Cuillin, suonando un set da brividi con i pezzi del suo nuovo album, Bothy Culture, quando i grandi di Hollywood si sono uniti a lui, seguiti dall’ex attaccante scozzese Ally McCoist, il quale si lanciò al microfono per cantare Born To Run con i cori di Connery, McGregor, Sir Kenny Dalglish, Sir Alex Ferguson e Gavin Hastings. Quelli che erano là, ricordano bene quella serata intrisa di whisky e parlano ancora con reverenza di ciò che McCoist definisce una festa che mise fine a tutte le feste. Parigi quella notte apparteneva a Glasgow e ad Edimburgo, Dundee e Aberdeen». Al di là del risultato sportivo, agli scozzesi basta e avanza tornare a far festa in simili palcoscenici. Se poi riusciranno a vendicarsi con l’Inghilterra, sia per la sconfitta del 1996 che per averli costretti alla Brexit, tanto meglio.
Occhi puntati su: Billy Gilmour. La qualità della rosa scozzese si concentra soprattutto a centrocampo, con i vari McTominay, Robertson, Fraser e McGinn. Oltre a loro, c’è il ventenne Gilmour, convocato per la prima volta proprio per gli Europei, aiutato dall’infortunio di Jack. Clarke ha un’elevata considerazione per lui, anche se non dovrebbe avere un ruolo primario nelle sue gerarchie. «Ha fatto molto bene al Chelsea con Frank Lampard, da allora è sempre nei miei pensieri. Ora ha una grande occasione per farci vedere in campo il suo valore». Ai Blues, pur giocando solo 7 partite quest’anno, ha già mostrato buone doti come centrocampista. Su tutte la consapevolezza dello spazio circostante, che gli permette di fare spesso scelte giuste e veloci quando riceve la palla. Lo testimoniano gli 11,2 passaggi completati sotto pressione ogni 90 minuti. Inoltre è molto propenso alla verticalità, preferendo quasi sempre servire i compagni in avanti (17,64 passaggi verticali ogni 90 minuti contro 9,6 all’indietro). Lampard lo ha lanciato, ma anche il subentrato Tuchel nutre buone speranze per lui. «Al Chelsea ha tre problemi: N’golo Kanté, Mateo Kovacic e Jorginho. Io non posso che raccomandare alla Nazionale scozzese di chiamarlo, per il livello elevato che mostra in allenamento. Non dovrebbero preoccuparsi delle sue capacità di competere in questi palcoscenici».
CROAZIA – Ct: Zlatko Dalic
«Non siamo allo stesso livello del 2018, è un dato di fatto». Zlatko Dalic sa bene che riconfermare la finale del mondiale russo sarà un compito complesso. Da dopo quell’exploit, la Croazia è stata abbastanza anonima, soprattutto in Nations League (una vittoria in sei partite nell’edizione 2020). Per loro, sta iniziando il ricambio generazionale: Mario Mandzukic e Ivan Rakitic si sono ritirati, mentre Luka Modric rimane sì il giocatore di riferimento, ma ha pur sempre 35 anni. Secondo Oddschecker, l’aggregatore di quote delle principali agenzie di scommesse, la vittoria dell’Europeo è quotata 34, dietro perfino alla Danimarca. Il che ha senso, se confrontiamo la rosa con quella di Belgio, Francia, Inghilterra e Portogallo. Ma i croati spesso rendono meglio quando partono da underdog della competizione: è stato il caso di Russia 2018, in cui sono stati pure fortunati per via del cammino relativamente morbido fino alla finale. Lì, insomma, si era creata una congiuntura astrale perfetta che ha valorizzato al massimo le qualità della squadra, supportata poi dal progressivo entusiasmo intorno a loro. Stavolta, tra l’altro, gli converrebbe tenere un profilo basso, almeno nel girone: la prima incrocerà la seconda del gruppo F, ovvero una tra Francia, Germania e Portogallo. Un secondo posto invece porterebbe la Spagna, alla peggio.
Dalic in Russia aveva puntato su un 4-1-4-1 incentrato sul trio di centrocampo Brozovic-Rakitic-Modric. Il primo schermava i contropiedi, mentre gli altri due tenevano il ritmo sotto controllo grazie alle loro eccezionali doti in palleggio. Al posto di Rakitic vedremo Kovacic, giocatore box-to-box molto utile per la risalita del pallone: quest’anno al Chelsea ha registrato 170 metri di conduzione in avanti ogni 90 minuti.
Orfano di Mandzukic, Dalic ha comunque diverse alternative per il centro dell’attacco. Andrej Kramaric viene dalla miglior stagione della carriera, con 20 gol all’Hoffenheim. Sennò ci sarebbe Bruno Petkovic, conosciuto per non aver mai segnato in Serie A nelle due esperienze a Bologna e Verona. In realtà è più un giocatore à la Giroud, utile come riferimento in area per chi cerca sponde facili. Lui e Kramaric dovrebbero partire dietro nelle gerarchie rispetto a Mario Pasalic e Ante Rebic, schierati come falsi nove. I loro movimenti possono poi favorire i tagli verso l’area di Ivan Perisic, una delle maggiori armi offensive dei croati.
In fase di non possesso i due laterali e la punta pressano molto alto, disturbando sul nascere il palleggio della difesa. L’obiettivo è recuperare la palla in una zona avanzata del campo o indurre gli avversari a lanciare lungo, situazione tutto sommato gestibile dai centrali croati. La retroguardia è la stessa di Russia 2018, con Borna Barisic al posto dello sfortunato Ivan Strinic e le riconferme di Sime Vrsaljko, Dejan Lovren e Domagoj Vida. Il problema è che negli ultimi tre anni non sono parsi molto affidabili, anche per l’avanzare dell’età e gli infortuni. Su 12 match di Nations League hanno subito 32 gol (tra cui spiccano questi sei contro la Spagna). L’unico upgrade al reparto arretrato è in porta: al posto del discontinuo Daniel Subasic (ritirato pure lui) c’è Dominik Livakovic, quest’anno 6 clean sheet i Europa League con la Dinamo Zagabria.

Se la Croazia sembra all’alba del ricambio generazionale, è già da qualche anno che ha iniziato a scrollarsi di dosso un’ombra pesante, quella di Zradvko Mamic. Per vent’anni è stato l’uomo al comando del calcio croato, gestendo la Dinamo Zagabria come una proprietà personale. Ovvero, tramite un’agenzia di procuratori gestita dal figlio Mario, coltivava giovani talenti, li vendeva in fretta in giro per l’Europa e poi, attraverso clausole nei loro contratti, “prelevava” dal 20 al 50% dei loro stipendi. In questo schema sono rientrate un po’ tutti i giocatori più noti, come Modric, Lovren, Corluka, Mandzukic e Kovacic. Lo scandalo scoppia nel 2015, dopo che l’USKOK, l’unità anticorruzione croata, accusa lui e il fratello Zoran, allora allenatore della Dinamo, di appropriazione indebita ed evasione nei trasferimenti dei giocatori. Zradvko, pur provandole tutte per corrompere la magistratura croata, è stato condannato a sei anni e mezzo di galera. Dove non ha mai passato un giorno, dato che dal 2016 è latitante in Bosnia-Erzegovina, probabilmente in un hotel di lusso a Medjugorje. Lo scorso marzo l’ha raggiunto Zoran, dopo le dimissioni da allenatore della Dinamo (sì, era tornato per questa stagione), condannato a 4 anni e 8 mesi. L’Interpol è sulle loro tracce e la Bosnia potrebbe applicare un mandato di arresto internazionale. Senza estradizione in Croazia, però, è difficile che i fratelli Mamic finiscano dietro le sbarre. In ogni caso, pensare che la loro influenza sul calcio croato sia svanita è utopistico: la loro rete di contatti è ancora molto ampia.
Occhi puntati su: Mislav Orsic. Tra i giocatori più interessanti a disposizione di Dalic c’è un’ala entrata nell’apice della carriera a 28 anni. Quest’anno con la Dinamo Zagabria ha segnato 16 gol in campionato e 6 in Europa League. Di queste, tre sono servite e eliminare il Tottenham di Jose Mourinho nel ritorno degli ottavi, ribaltando a sorpresa il 2-0 dell’andata. Il gol decisivo, arrivato al 105′, dà l’idea della stato di grazia in cui si trova ora e del pericolo che può rappresentare per ogni difesa. Lì, dopo aver ricevuto nel mezzo spazio di sinistra, sua zona prediletta, parte in progressione verso l’area. Prima supera Serge Aurier mandandolo in controtempo poi, allungandosi leggermente la sfera, passa tra Moussa Sissoko e Tanguy Ndombele. Davinson Sanchez non fa in tempo ad abbozzare una chiusura che Orsic ha già trafitto Hugo Lloris, con un fendente preciso di interno destro.

Accelerazione, dribbling e precisione di tiro sono i principali punti di forza di Orsic, che trova lo specchio nel 46,7 per cento dei tentativi. Inoltre riesce a superare l’avversario 1,9 volte ogni 90 minuti. Il dato che più colpisce, in questa stagione, sono i 0,56 gol ogni 90 minuti, che lo pone al 98° percentile nei campionati europei (tradotto: gran pochi hanno queste medie).
Orsic ha raggiunto questo livello relativamente tardi, con un percorso poco convenzionale. Nel 2013-14 faceva panchina allo Spezia in Serie B, prima di volare in Estremo Oriente, giocando in Cina e Corea del Sud. Qui ai Jeonnam Dragons deve perfino cambiare il nome sulla maglia in “Orsha“, perché i compagni non riuscivano a pronunciare il cognome originale. Nel 2018 torna in patria alla Dinamo Zagabria e la sua carriera assume improvvisamente un’altra piega. Da allora ha fatto 22 assist e 53 gol, di cui 17 nelle 41 presenze complessive nelle coppe europee, dove la Dinamo ha smesso di essere la squadra materasso degli anni scorsi. La tripletta al Tottenham è stata l’apice, ma non l’unica: l’Atalanta aveva provato la stessa sensazione all’esordio assoluto in Champions, perso 4-0.

La sua è una parabola in stile Benjamin Button che, dovesse continuare in questi Europei, può alzare eccome le quotazioni della Croazia.
INGHILTERRA – Ct: Gareth Southgate
«Football is coming home». Era il tormentone con cui ricorderemo i mondiali di Russia, anche se poi l’Inghilterra si è squagliata contro il primo avversario serio. La Croazia, contro cui esordirà nel girone, tre anni fa ha mostrato che mancava ancora qualcosa per riaprire la bacheca e fare un po’ di compagnia alla Coppa del Mondo 1966. Per certi versi quel mantra, figlio dell’entusiasmo per l’ennesima generazione d’oro, è un paradosso: gli inglesi avranno sì inventato il calcio, ma poi nei palcoscenici internazionali hanno sempre avuto una tradizione perdente. C’è proprio un’incapacità cronica di sfruttare l’immensa quantità di talento a disposizione negli anni, non riuscendo mai a a trovare il bilanciamento ideale perché tutti rendano al massimo per quel singolo mese di torneo. Non si tratta solo di sfortuna o di ingiustizie varie, è che ogni volta sembrano esserci due-tre squadre con qualcosa di più dell’Inghilterra. Solidità mentale e forma fisica soprattutto, due concetti che in America chiamano “intangibles” e vanno ben oltre il valore assoluto della rosa.
Ad ogni modo, quest’anno di sicuro il calcio tornerà a casa. Non perché l’Inghilterra ha trovato magicamente il segreto per vincere, ma perché questi Europei li giocherà proprio in casa. A distanza di 25 anni, Wembley li riaccoglierà per tutto il gruppo D. Lo stesso stadio riaprirà poi per la semifinale e la finale, per cui forse avrà capienza completa. L’Inghilterra sarà condannata a esserci ma, come al solito, è tutto fuorché scontato.
Southgate avrà da gestire un’immonda quantità di ballottaggi, che per chi cerca l’equilibrio ideale per arrivare in fondo non è proprio il massimo. In porta Dean Henderson potrebbe prendere il posto di Jordan Pickford, dopo un grande finale di stagione al Manchester United, dove sembra ormai pronto a raccogliere l’eredità di David De Gea. Pickford è comunque un fedelissimo di Southgate da dopo Russia 2018; nonostante non sia sempre affidabile, coi piedi se la cava abbastanza da dare un contributo attivo nella costruzione bassa della squadra. Un altro grosso dubbio riguardava il ruolo di terzino destro: uso il passato perché l’infortunio di Trent Alexander Arnold nell’amichevole contro l’Austria rende ora Kyle Walker quasi sicuro del posto, per cui ci sarebbero pure Kieran Trippier e Reece James. A centrocampo potrebbe poi crearsi un dualismo tra Mason Mount, fenomenale quest’anno al Chelsea, e Jordan Henderson: il capitano del Liverpool può dare equilibrio e leadership in campo, ma ha appena recuperato da un infortunio che l’ha tenuto fuori dal 20 febbraio.
Per l’Inghilterra sarà soprattutto cruciale trovare equilibrio in attacco, dove può sfruttare differenti soluzioni. Nel trio titolare Phil Foden e Marcus Rashford partiranno dalle fasce laterali per tagliare rapidamente verso il centro, sfruttando gli spazi liberati da Harry Kane, a cui piace arretrare per ricevere sulla trequarti. Il calcio di Southgate si basa su un possesso continuo in fase offensiva, a cui partecipano i laterali (Walker e uno tra Ben Chilwell e Luke Shaw). In caso di palla persa si cerca una riconquista rapida o, alla peggio, si sfruttano le doti in copertura del mediano Declan Rice: quest’anno al West Ham ha avuto 1,85 intercetti ogni 90 minuti. In avanti l’Inghilterra ha comunque notevoli risorse in uscita dalla panchina: Raheem Sterling (a cui Foden ha rubato il posto sia qui che al City), Jadon Sancho, Jack Grealish e Dominic Calvert-Lewin. Quest’ultimo è il giocatore ideale per i finali concitati in cui l’unica tattica rimasta è il cross-in-area-e-speriamo-bene (quest’anno ha segnato 7 gol di testa, migliore di tutti in Premier League).
Intervistato dal podcast ufficiale della Nazionale inglese, Harry Kane è parso ottimista: «Siamo messi meglio rispetto a Russia 2018. Allora non eravamo sicuri del nostro valore come squadra, pur facendo bene. Ma ora abbiamo più esperienza e giocatori più abituati a giocare grandi partite con i loro club». In effetti, quasi tutti i maggiori talenti di questa squadra sono entrati da poco nel loro prime. L’ideale, per loro, sarebbe imitare la Francia degli ultimi mondiali, e approfittarne alla prima occasione buona.
Occhi puntati su: Phil Foden. Al City Pep Guardiola ha passato tre stagioni a lodarlo ogni volta che poteva, tanto da definirlo «Il più grande talento che abbia mai visto, da calciatore e da allenatore». In quelle stesse tre stagioni, mentre Guardiola lo poneva idealmente davanti a Messi, Iniesta e Lewandowski, lui totalizzava ben 1262 minuti in campo. C’è da dire che nel suo ruolo originario, la mezz’ala, era chiuso da David Silva, peraltro sua fonte d’ispirazione. «Mi ha aiutato molto, dicendomi “Gioca a un tocco” o “Spostati lì”; gli sono grato per tutto», ha detto in un’intervista con la BBC. Quest’anno Silva, dopo 10 anni al City, è tornato in Spagna alla Real Sociedad. Tuttavia Guardiola ha preferito spostare Foden sull’ala sinistra, con un ruolo simile a quello di Leroy Sané nel 2018-19 (lo si nota confrontando i loro dati). Così ha dimostrato che quelle parole di stima non erano proprio campate per aria. In stagione Foden ha realizzato 14 gol e 9 assist complessivi, risultando determinante nella rimonta del City nel girone di ritorno di Premier, valsa il terzo titolo della gestione Guardiola. Inoltre ha progressivamente scalzato Sterling dalle gerarchie (perfino in quelle di Southgate!).
In partita Foden ha un range di movimenti così ampio che è impossibile inscatolarlo in un singolo ruolo (anzi, secondo Transfermarkt ne avrebbe ricoperti sei quest’anno). In questo modo le difese non hanno alcun riferimento su come contrastarlo. In più l’abilità a smarcarsi con il primo controllo, unita all’accelerazione (37 km/h di velocità massima, al City meglio di lui solo Kyle Walker) lo rendono già un fattore cruciale per Southgate.
Il ritorno a Wembley dell’Inghilterra ha subito rievocato gli entusiasmi dell’ultima edizione casalinga, Euro ’96. Per il parziale reboot del 2021, Foden potrebbe ereditare il ruolo di protagonista che fu di Paul Gascoigne. E, a giudicare da come si è tinto i capelli, sembra essersi già calato nella parte.

Per il resto, Foden appare come il tipico zoomer inglese: magrolino, capello corti sfumati ai lati, drip da paura quando serve. Viene difficile non immaginarselo arrivare il sabato sera in un parcheggio della periferia di Manchester al volante della sua Vauxhall Opel Corsa, da cui risuona a tutto volume Tour di Macky Gee, per poi affacciarsi dal finestrino e gridare «Wag1 lads!» agli amici. Da questa generazione Z, l’Inghilterra spera di scrollarsi finalmente di dosso l’aura di eterna perdente.
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